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Vivo dentro le pareti
di una ciotola giapponese
dove il cielo avanza
riflesso da una finestra,
dove le nuvole sono cupe:
"dimore solo mie", dico.
Abiti indossati
che hanno crepe
sminuzzate,
lasciate avvolte
come coriandoli
trascinati dal vento,
viaggiano
cercando fratture
agli abbracci
che non ci siamo più concessi
da una fame fa
che fa tana
per far entrare aria
da sotto il lenzuolo,
quando fa caldo.
Non posso credere
o forse ancora
alla forma sospesa
del mio sguardo,
insonne sostanza
che circumnaviga
l'orizzonte geometrico
del tuo corpo.
Oltre
non ci sarà più nulla
che tu non possa
chiamare casa:
"A come abitarti
ci penso io",
dicevo.
Ad abitarmi
ci stai pensando tu.